martedì 7 agosto 2012

Come si fa un libro 2



(continua da qua)

Procuratevi qualche bomboletta di lacca e un paio di flaconi di mastice a presa rapida. Le prime serviranno a fissare le parole sulla carta, i secondi per evitare il rischio di metaforizzare troppo. Ricordatevi che l’inchiostro ha uno spessore concreto. Ripulite le sbavature con un foglio di carta assorbente, ma, se sono troppe, piuttosto aggiungetene. Shakerate gli avverbi con tanto ghiaccio, poi buttateli nel lavandino. Mischiate quindi il ghiaccio con gli aggettivi. Assaggiate: degli avverbi dovrebbe rimanere solo un vago retrogusto – Alcune varianti americane prevedono una dose proporzionata di avverbi e di aggettivi, ma se non si sta attenti si rischia che l’equilibrio lessicale ne risulti compromesso.
Prima di continuare oltre, verificate la consistenza della vostra poetica. Se non la trovate, provate a guardare sotto i cuscini del divano (alle volte scivola dalle tasche) o nell’armadietto dei medicinali. In ogni caso esistono surrogati efficaci ovunque.
A questo punto potete scegliere tra vaghezza o precisione, digressioni o sintesi, conflitto o peripezie, trama o personaggi, pensiero o azione, ipotassi o paratassi, gatto o cane, slip o boxer, ricci o lisci, mare o montagna, bionda o mora, notte o giorno, mela o pera, papà o mamma.
L’importante è che ci sia equilibrio nell’equilibrio o squilibrio nell’equilibrio, ma mai squilibrio nello squilibrio o equilibrio nello squilibrio – a meno che non vogliate equilibratamente fare un libro in cui lo squilibrio è equilibratamente squilibrato o l’equilibrio è squilibratamente squilibrato. I commentatori antichi lo disapproverebbero, ma non è detto che tra duemila anni non venga apprezzato dai filologi.

Nessun commento: